Cari lettori e care lettrici,
Questo sarà il nostro secondo post dedicato alla nascita della letteratura volgare in Italia. La volta scorsa, abbiamo preso conoscenza de “La carta Capuana“, uno dei primi documenti legali in volgare italiano del 960. Oggi, invece, parleremo dei poeti della Scuola Siciliana appartenenti alla corte di Federico II di Svezia.
Spunti di storia e cultura
Il regno di Sicilia, durante la seconda metà del XIII secolo, comprendeva tutta l’Italia meridionale. Questo fu un periodo di particolare equilibrio politico-amministrativo e di grande prosperità economica per merito di alcune iniziative di Federico II di Svezia – imperatore tedesco nato a Jesi, provincia di Ancona (1194 – 1250): fondazione dell’Università di Napoli (1224), le costituzioni Melfitane (1231), in cui veniva ribadita l’autorità del sovrano rispetto ai potentati feudali.

Università di Napoli Federico II, fondata nel 1224 da Federico II
L’amore cortese
Sin dalla fine del XII secolo ci sono esempi isolati di poesie in volgare. Tuttavia, si dovrà aspettare il XIII secolo per poter parlare di una nascita vera e propria per quanto riguarda la letteratura in volgare in lingua italiana.
L’imperatore Federico II e altri funzionari laici della sua corte scrivevano poesie in volgare italiano molto raffinato. In realtà, questi poeti dilettanti, spesso privi di vero talento poetico, denominati, appunto, poeti della Scuola Siciliana, componevano versi e rime il cui tema centrale era l’amore cortese (o fin’amor), basato sul modello della poesia francese dei trovatori provenzali.
La tematica principale trattata dai poeti siciliani era l’amore, sia dal punto di vista teorico (cos’è l’amore, come nasce e quali sono i suoi effetti) sia l’amore feudale verso la donna amata, come prova di omaggio e devozione. In realtà, tra le righe delle loro poesie, il poeta cercava di stabilire una comunicazione attraverso immagini e segnali accolti soltanto dalla donna di cui era innamorato.
Chi erano questi poeti?
L’identià dei poeti, che fecero parte della scuola siciliana, ci è pervenuta attraverso il manoscritto Vaticano Latino 3793, una raccolta di poeti (canzonieri) italiani del Duecento, compilato da un copista toscano e conservato presso la Biblioteca apostolica Vaticana. In realtà, l’appellativo “siciliani” non designava tanto la provenienza geografica dei poeti ma, piuttosto, la loro appartenenza alla corte di Federico II; non tutti i poeti che ne fecero parte erano di origine siciliana, alcuni provenivano dalla Puglia, dalla Calabria e, addirittura, dal nord Italia.
I poeti della Scuola siciliana furono circa ventiquattro, attivi nel ventennio compreso tra il 1230 e il 1250. La loro produzione poetica influenzò la produzione culturale delle città ghibelline dell’Italia Centrale, come per esempio Bologna, città dove visse Guido Guinizzelli, padre del Dolce Stil Novo e amico di Dante Alighieri.
Da molto giovane, Dante si dedicò alla poesia diventando amico di Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, entrambi poeti come lui. Inizialmente, le sue rime erano in perfetta sintonia con la maniera del Dolce Stil Novo (anche Stilnovismo, Stil novo o Stilnovo), un importante movimento poetico italiano sviluppatosi tra il 1280 e il 1310 a Bologna e poi a Firenze, il cui precursore fu Guido Guinizzelli, poeta e giudice italiano (morto nel 1276).
700 anni dalla morte di dante alighieri
Poeti, sonetti e poesie
In una delle sue canzoni, Giacomino Pugliese (rimatore appartenente alla Scuola Siciliana e del quale non si ha molte notizie) ricorda il momento doloroso della separazione dalla donna amata:
La dolce cera piagente
(Giacomino Pugliese)
La dolce cera piagente
e gli amorosi sembianti
lo cor m’alegra e la mente,
quanto mi pare davanti.
Sì volontieri la vio
la boca ch’io basciai;
quella cui io amai
ancor l’aspetto e disio.
L’aulente bocca e le menne
e lo petto le cercai,
fra le mie braza la tenne;
basciando mi dimandai:
Messer, se venite agire ,
nom facciate adimoranza ,
ché non n esti bona usanza
lasciar l’amore e partire.
Allotta ch’eo mi partivi
Madonna, a Dio v’acomando;
la bella guardò ver mivi,
sospirava lagrimando.
Tant’erano li sospire,
c’a pena mi rispondia;
e la dolze donna mia
non mi lassava partire.
lo non fuivi sì lontano,
che lo mio amor v’ubriasse,
e non credo che Tristano
Isaotta tanto amasse.
Quando vegio l’avenente,
infra le donne aparire,
lo cor mi trae di martire
e ralegrami la mente
Giacomo da Lentini (1210 circa – 1260 circa), conosciuto come Iacopo/Jacopo da Lentini o, semplicemente, “Il Notaro“, fu un poeta e notaio italiano appartenente alla Scuola Siciliana, considerato l’ideatore del sonetto:
Oi deo d’amore, a te faccio preghera
(Giacomo da Lentini)
Oi deo d’amore, a te faccio preghera
ca mi ’ntendiate s’io chero razone:
cad io son tutto fatto a tua manera,
aggio cavelli e barba a tua fazzone,
ad ogni parte aio, viso e cera,
e seggio in quattro serpi ogni stagione;
per l’ali gran giornata m’è leggera,
son ben[e] nato a tua isperagione.
E son montato per le quattro scale,
e som’asiso, ma tu m’ài feruto
de lo dardo de l’auro, ond’ò gran male,
che per mezzo lo core m’ài partuto:
di quello de lo piombo fa’ altretale
a quella per cui questo m’è avenuto.

Spero che l’argomento del nostro post di oggi vi sia piaciuto. Nel prossimo parleremo dei poeti del Dolce Stil Nuovo.
Arrivederci e buono studio!
Claudia V. Lopes

Bibliografia:
- SALINARE, Carlo. Profilo storico della letteratura italiana, Giunti, 1991.
- FERRONI, Giulio. Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi Scuola, 2008.
- L’Italia è cultura – Letteratura. Edilingua.
Bravissima!!! 😉
Grazie, Giusy!!!