Salvatore Quasimodo e le sue poesie più celebri

Ciao a tutti!

Oggi vorrei parlarvi di uno dei più celebri poeti italiani: Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968), considerato uno dei più grandi esponenti dell’ermetismo.

Il termine “ermetico” deriva da Ermete Trismegisto (dal greco antico Ἑρμῆς ὁ Τρισμέγιστος, in latino Mercurius ter Maximus), un personaggio considerato leggendario, vissuto all’età preclassica e ritenuto l’autore del Corpus hermeticum (una collezione di scritti dell’antichità che rappresentò la fonte di ispirazione del pensiero ermetico e neoplatonico rinascimentale).

Quasimodo contribuì alla traduzione di testi appartenenti all’età classica, in specie quelli lirici greci, ma anche delle opere teatrali di William Shakespeare e Molière; è stato anche vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1959.

L’epicentro della corrente letteraria denominata “Ermetismo” fiorì a Firenze, intorno al 1930, affermandosi soprattutto nel campo della poesia e della critica, e ha influenzato, in modo particolare, anche le opere narrative.

Prima di cominciare a leggere le poesie di Quasimodo, credo che sia importante capire i vari significati del vocabolo ermetico che troviamo sui vocabolari: Aggettivo 1 – che chiude perfettamente impedendo qualsiasi passaggio di fluidi: chiusura ermetica; 2 – impenetrabile, imperscrutabile; di significato oscuro: un linguaggio ermetico; 3 – relativo alla corrente poetica dell’ermetismo: poeta ermetico; 4- s.m. (f. -ca), poeta appartenente alla corrente dell’ermetismo: Quasimodo è un poeta ermetico; 5 – avv. ermeticamente 1. In modo ermetico, mediante chiusura e.: contenitore chiuso ermeticamente 2. fig. In modo incomprensibile: scrivere ermeticamente.

Quindi la poesia ermetica è caratterizzata da un linguaggio oscuro e di non immediata compressione, nel senso che non riusciamo a capire il senso alla prima lettura.

Ho scelto per voi cinque poesie considerate tra le più celebri di Quasimodo.

Buona lettura!

Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera

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Ora che sale il giorno
Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.

È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchi mura,
per restare solo a ricordarti.

Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre bette il piede dei cavalli!

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Già la pioggia è con noi
Già la pioggia è con noi,
scuote l’aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.

Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido
levato a vincere d’improvviso un giorno.

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Fresche di fiumi in sonno
Ti trovo nei felici approdi,
della notte consorte,
ora dissepolta
quasi tepore d’una nuova gioia,
grazia amara del viver senza foce.

Vergini strade oscillano
fresche di fiumi in sonno:

E ancora sono il prodigo che ascolta
dal silenzio il suo nome
quando chiamano i morti.

Ed è morte
uno spazio nel cuore.

Photo by Diego Madrigal on Pexels.com

Imitazione della gioia
Dove gli alberi ancora
abbandonata più fanno la sera,
come indolente
è svanito l’ultimo tuo passo
che appare appena il fiore
sui tigli e insiste alla sua sorte.

Una ragione cerchi agli affetti,
provi il silenzio nella tua vita.

Altra ventura a me rivela
il tempo specchiato. Addolora
come la morte, bellezza ormai
in altri volti fulminea.
Perduto ho ogni cosa innocente,
anche in questa voce, superstite
a imitare la gioia.

Photo by Pixabay on Pexels.com

Condivido con voi un video che fu registrato quando Salvatore Quasimodo vinse il PREMIO NOBEL della letteratura, nel 1959.

Arrivederci e buono studio!

Se il post vi è piaciuto, fatecelo sapere nei commenti!

Bibliografia di base per l’elaborazione dei post (letteratura/cultura):

  1. SALINARE, Carlo. Profilo storico della letteratura italiana, Giunti, 1991.
  2. FERRONI, Giulio. Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi Scuola, 2008.
  3. Treccani enciclopedia, Sapere.it, Wikipedia

L’origine del vocabolo PIZZA e i suoi vari significati

Ciao a tutti!

Sono sicura che a tanti di voi piace la pizza, vero? Vi siete mai chiesti, però, qual è l’origine di questo vocabolo e in quali contesti possiamo adoperarlo? Secondo alcuni studiosi (tanti si sono interessati di questo tema) il vocabolo pizza deriva probabilmente dal latino volgare pisare, cioè pestareschiacciare con le mani. Tuttavia, da altre ricerche, soprattutto in rete, è saltato fuori che il suddetto vocabolo deriverebbe dal termine pinsa, specialità della cucina romana.

Pinsa romana

La pizza (chiamata anche, in modo generico, focaccia) è un tipo di impasto fatto con farina e acqua, cosparso di mozzarella e pomodori pelati con l’aggiunta di poco olio e acciughe, aromatizzata con origano, cotto rapidamente in forno molto caldo. Ovviamente, ci sono tantissime altre tipologie di pizza in Italia e nel mondo, però le più conosciute (e mangiate!) sono: margherita, bufala, marinara, tonno e cipolle, melanzane e ricotta, frutti di mari, pomodorini, capperi e olive, prosciutto e rucola, gorgonzola e salame, capricciosa ecc.

In senso figurato, il vocabolo pizza può essere usato nei confronti di chi o di quanto risulta intollerabilmente noioso: “Che pizza questo film!”; nel parlare romanesco, pizza vuol dire schiaffo:Finisce con questa storia, altrimenti ti do una pizza”; in cinematografia, equivale alla scatola metallica circolare che contiene la pellicola sviluppata, per estensione, la pellicola stessa; nel linguaggio marinesco, riscontriamo il verbo pizzare, che significa urtare per errore di manovra.

Fatemi sapere nei commenti se conoscevate l’origine del vocabolo pizza e se il post vi è piaciuto.

Vi abbraccio e alla prossima!

Claudia

B1 Cittadinanza e Certificazioni della Lingua Italiana: CILS, CELI e ALTRI CERTIFICATI!

Ti stai preparando per il B1 cittadinanza o per l’esame delle certificazioni della lingua italiana: CILS, CELI & altri Certificati? Magari hai appena iniziato a studiare la lingua italiana e vorresti approfondire di più lo studio dei verbi. Quindi, 𝗟𝗼 𝘀𝘁𝘂𝗱𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝘃𝗲𝗿𝗯𝗶 𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮𝗻𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝘀𝘁𝘂𝗱𝗲𝗻𝘁𝗶 𝘀𝘁𝗿𝗮𝗻𝗶𝗲𝗿𝗶 fa proprio per te!

✔️𝗟𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗱𝗶 𝘃𝗲𝗿𝗯𝗶 𝘀𝘁𝗿𝘂𝘁𝘁𝘂𝗿𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝗱𝗼 𝗱𝗶𝗻𝗮𝗺𝗶𝗰𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗿𝗶𝘂𝗻𝗶𝘀𝗰𝗲 𝘀𝗶𝗮 𝗹𝗮 𝘁𝗲𝗼𝗿𝗶𝗮 𝘀𝗶𝗮 𝗹𝗮 𝗽𝗿𝗮𝘁𝗶𝗰𝗮, 𝗻𝗼𝗻𝗰𝗵é 𝗹𝗲 𝗽𝗶ù 𝘀𝗶𝗴𝗻𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮𝘁𝗶𝘃𝗲 𝗱𝗶𝗳𝗳𝗶𝗰𝗼𝗹𝘁à 𝗰𝗵𝗲 𝘂𝗻𝗼 𝘀𝘁𝘂𝗱𝗲𝗻𝘁𝗲 𝘀𝘁𝗿𝗮𝗻𝗶𝗲𝗿𝗼 𝗮𝗳𝗳𝗿𝗼𝗻𝘁𝗮 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗰𝗼𝗺𝗶𝗻𝗰𝗶𝗮 𝗮 𝘀𝘁𝘂𝗱𝗶𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗻𝗴𝘂𝗮 𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮𝗻𝗮, 𝗽𝗲𝗿 𝗲𝘀𝗲𝗺𝗽𝗶𝗼:
1) 𝙘’è 𝙚 𝙘𝙞 𝙨𝙤𝙣𝙤
2) 𝙢𝙞 𝙥𝙞𝙖𝙘𝙚 𝙚 𝙢𝙞 𝙥𝙞𝙖𝙘𝙘𝙞𝙤𝙣𝙤
3) 𝙡𝙖 𝙘𝙤𝙣𝙞𝙪𝙜𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙣𝙚𝙞 𝙩𝙚𝙢𝙥𝙞 𝙘𝙤𝙢𝙥𝙤𝙨𝙩𝙞, 𝙘𝙤𝙣 𝙡’𝙖𝙪𝙨𝙞𝙡𝙞𝙖𝙧𝙚 𝙀𝙎𝙎𝙀𝙍𝙀 𝙚 𝘼𝙑𝙀𝙍𝙀, 𝙞𝙣 𝙥𝙧𝙚𝙨𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙙𝙚𝙞 𝙫𝙚𝙧𝙗𝙞 𝙨𝙚𝙧𝙫𝙞𝙡𝙞
4) 𝙡𝙖 𝙘𝙤𝙣𝙘𝙤𝙧𝙙𝙖𝙣𝙯𝙖 𝙙𝙚𝙞 𝙩𝙚𝙢𝙥𝙞 (𝙘𝙤𝙣𝙨𝙚𝙘𝙪𝙩𝙞𝙤 𝙩𝙚𝙢𝙥𝙤𝙧𝙪𝙢)

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La punteggiatura della lingua italiana – la virgola

Ciao a tutti!

Nel nostro nuovo post, dedicato alla punteggiatura della lingua italiana, tratteremo più da vicino alcuni usi di uno dei segni di interruzioni più utilizzati in assoluto: la virgola.

La virgola indica un intervallo breve della voce durante la lettura e viene usata nei seguenti casi:

a) per dividere le parole, gli elementi di un elenco, di una numerazione:

Maria, Carla e Fatima sono grandi amiche; Vorrei un caffè, un bicchiere di acqua naturale e un dolcetto al limone.

Maria, Carla e Fatima sono grandi amiche. 

b) Per isolare un vocativo (che esprime richiamo, invocazione):

Forza, ragazzi, finite di mettere a posto la stanzetta!; Bambini, ora di andare a letto!

c) Per isolare apposizioni, incisi:

Patrizia Rossi, la nuova sindaca, è molto apprezzata; Farò, forse, una gita in montagna domani.

Inciso (do latim incisus, “cortado”) – parola o frase inserita in un contesto dal quale è sintatticamente indipendente.

d) Per sapere se due proposizioni sono coordinate, evitando, così, l’uso della congiunzione “e”:

Maria tornò a casa, si sedette sul divano.

e) Per separare una proposizione da un’altra introdotta dalle congiunzioni ma, però, invece, tuttavia, sebbene, benché, poiché, mentre, dal momento che, ecc.:

L’amava, tuttavia non l’ha sposata; gli ho raccontato tutto, sebbene non fossi molto convinta. 

f) Dopo alcuni avverbi (, no, bene, ecc.):

, ti chiamerò più tardi; no, non l’ho visto ieri; bene, adesso vado via. 

Non usate MAI la virgola nei seguenti casi:
  1. tra il soggetto il verbo (predicato) non si scrive: Carla, è trise (corretto – Carla è triste).
  2. tra il verbo e il primo complemento oggetto non si scrive: Mangia, un panino, un dolcetto, beve una spremuta (corretto – Mangia un panino, un dolcetto, beve una spremuta).
  3. prima di e,, o non si scrive: compra il latte, e il caffè (corretto – compra il latte e il caffè); non voglio né guardare la TV, né ascoltare la musica (corretto – non voglio né guardare la TV né ascoltare la musica); compra questo libro, o l’altro (corretto – compra questo libro o l’altro).

Arrivederci e buono studio!

Claudia Valeria Lopes

Se il post vi è piaciuto, fatecelo sapere nei commenti!

Bibliografia:

  1. Cetroni M.R. et aliiGrammaticando. Cercola (Napoli), Loffredo Editore, 1997.
  2. SABATINI, Francesco, La comunicazione e gli usi della lingua. Bologna, Loescher editore, 1995.
  3. DARDANO, Maurizio e TRIFONE, Pietro. Parole e Frasi. Bologna, Zanichelli Editore Spa, 1985.
  4. SERIANI, Luca. Grammatica italiana. Torino, Utet Editore, 1991.
  5. Dizionario Garzanti, De Mauro e Lo Zingarelli della lingua italiana.

La punteggiatura della lingua italiana – il punto fermo

Ciao a tutti!

Nel nostro post di oggi, dedicato alla punteggiatura della lingua italiana, studieremo il punto fermo  conosciuto semplicemente come punto -, un segno di interruzione che corrisponde a una pausa lunga e forte.

Nonostante ci siano delle norme fondamentali ben precise, che andrebbero rispettate, l’uso della punteggiatura nella lingua italiana è molto soggettivo: la punteggiatura, in altre parole, fa parte dello stile personale di scrittura.

Il punto fermo è usato:

a) Per concludere una frase di senso compiuto o un periodo:

Ho sete.
Berrò un bel bicchiere di aranciata.
Domani andrò a Caserta a trovare degli amici.

Se tra due frasi o un gruppo di frasi c’è uno stacco molto lungo o se l’argomento è ormai concluso, si va a capo, cioè  al principio: sicuramente avete già sentito l’espressione “punto e daccapo/da capo“. In futuro, se volete, possiamo parlare della punteggiatura applicata alla composizione di testi.

F.S. o nel gergo antico FF.SS.

b) Nelle abbreviazioni e nelle sigle:

prof. = professore; dott. = dottore; avv. = avvocato; ing. = ingegnere; ecc. = eccetera; cfr. = confronta; pag. = pagina; vol. = volume; cap. = capitolo; sec. = secolo; a.C. = avanti Cristo; d.C = dopo Cristo; G.U. = Gazzetta Ufficiale; F.S. o nel gergo antico FF.SS. = Ferrovie delle Stato; B.O.T. = Buoni Ordinari del Tesoro; C.O.N.I. = Comitato Olimpico Nazionale Italiano.

Con il passare degli anni, però, una sigla finisce per diventare di uso comune e si tende, soprattutto nella scrittura giornalistica, ad omettere il punto: BOT, CONI.

Un BOT è un titolo zero-coupon, ovvero un titolo senza cedola, di durata inferiore o uguale ai 12 mesi, emesso dal Governo italiano allo scopo di finanziarne il debito pubblico.

Alcune espressioni e modi di dire con il vocabolo “punto”:

a) essere un punto interrogativo: essere incerto, imprevedibile, detto di una situazione, un avvenimento futuro o altro che non consentono di fare previsioni attendibili.

b) di punto in bianco: improvvisamente, senza preavviso, in maniera del tutto inaspettata.

c) essere in punto e virgola: essere esageratamente ricercati, formali, osservare in modo pignolo le regole dell’etichetta. Anche nel senso di essere affettati o artificiosi, oppure perfezionisti al massimo.

d) fare il punto: stabilire con esattezza i termini di una situazione, individuarne gli aspetti fondamentali o analizzarla alla luce di nuovi elementi o evoluzioni, per capire in che fase o condizione si trova. Variante: fare il punto della situazione.

e) punto e basta! – esclamazione usata per metter fine a una discussione e simili, imponendo con forza la propria opinione.

f) vincere ai punti: vincere a stento, con un minimo vantaggio sull’avversario.

Arrivederci e buono studio!

Claudia Valeria Lopes

Se il post vi è piaciuto, fatecelo sapere nei commenti!

Bibliografia:

  1. Cetroni M.R. et aliiGrammaticando. Cercola (Napoli), Loffredo Editore, 1997.
  2. SABATINI, Francesco, La comunicazione e gli usi della lingua. Bologna, Loescher editore, 1995.
  3. DARDANO, Maurizio e TRIFONE, Pietro. Parole e Frasi. Bologna, Zanichelli Editore Spa, 1985.
  4. SERIANI, Luca. Grammatica italiana. Torino, Utet Editore, 1991.
  5. Dizionario Garzanti, De Mauro e Lo Zingarelli della lingua italiana.

Come si festeggia il Nuovo Anno in alcuni Paesi?

Paesi che vai usanze che trovi! Avete sicuramente sentito questo proverbio italiano, magari esiste uno simile nella vostra lingua madre


Vi siete mai chiesti come si festeggia l’arrivo del Nuovo Anno in altri Paesi? Quali sarebbero le loro tradizioni? La data è sempre la stessa? Cosa mangiano? L’articolo che leggerete adesso è la traduzione, fatta da me, di un testo in lingua tedesca facente parte del libro “Deutsch in der Schweiz”. In realtà, sono piccole interviste con i nativi di alcuni Paesi.

Fuochi D'Artificio, Celebrazione, Astratto, Arte
  • In Colombia la gente celebra l’arrivo del nuovo anno in un modo molto particolare: verso la fine di dicembre, carta, stracci e vecchi vestiti vengono trasformati in una grande bambola, di seguito, messa seduta su una sedia fuori casa per alcuni giorni. Piccoli fogli di carta (testamentos) sono appesi accanto alla bambola, sui quali scriviamo gli avvenimenti negativi dell’anno vecchio e gli auguri per quello nuovo. C’è festa ovunque il 31 dicembre; balliamo tra di noi e anche con la bambola! Poco prima di mezzanotte, la bambola viene data alle fiamme, così si crea un bel falò e si brucia anche l’anno vecchio.  (L. Ponce, 28 anni)
  • In Sri Lanka la festa di Capodanno si chiama Nava-Varsha e si svolge in primavera, secondo il calendario occidentale. Festeggiamo questo giorno con la famiglia e mangiamo una specialità a base di riso, zucchero, latte di cocco e noci. Questo cibo è dolce come la vita!  Dopo cena, andiamo al tempio a pregare e ad augurarci un Felice Anno Nuovo. Nel giorno di Capodanno indossiamo vestiti nuovi, poiché è così che dimostriamo di essere pronti per qualsiasi nuovo avvenimento. (V. Nadarasa, 24 anni).
  • In Spagna, a Capodanno, c’è una tradizione molto interessante: quando le campane suonano 12 volte a mezzanotte, mettiamo un’uva in bocca ogni qualvolta la campana suona, così auguriamo cose buone per il nuovo anno. Tuttavia, in ben poco tempo, abbiamo la bocca piena di uva e non riusciamo a più parlare. C’è sempre molto di cui ridere. (J. Martinez, 21 anni)
  • Per noi, musulmani in Marocco, il nuovo anno inizia il primo di Muharram. Questo è il primo giorno del calendario lunare islamico. Un anno lunare è circa 11 giorni più corto di un anno solare. E così il capodanno islamico viene festeggiato in una data diversa rispetto a quello cristiano.  Ad esempio, nel 1999 dC abbiamo celebrato il capodanno il 17 aprile e nel 2000 dC 11 giorni prima, il 6 aprile. In questa data iniziò per noi l’anno 1421. Il capodanno non è una grande festa per noi, a dire il vero, non abbiamo una grande festa a cavallo dell’anno. I bambini ricevono dei dolci il 1° di Muharram e in questo giorno si possono ascoltare storie sull’Hejra, il volo di Maometto dalla Mecca a Medina. (A. El Arja, 39 anni)
  • In Italia, il 31 dicembre, indossiamo sempre la biancheria intima rossa. Questa è una tradizione in molte regioni d’Italia, perché siamo convinti che la biancheria intima rossa porti fortuna nel nuovo anno – e fa bene all’amore! Festeggiamo il capodanno con gli amici. C’è un proverbio che dice: “Natale con i tuoi, capo d’anno con chi vuoi”. Di solito, sono con i miei amici a Capodanno, mangiamo insieme e guardiamo la TV; a mezzanotte brindiamo con lo spumante e ci auguriamo il meglio per il nuovo anno. La maggior parte delle volte telefoniamo ai nostri genitori e auguriamo loro buona fortuna per il nuovo anno. (L. Crivelli, 21 anni)
  • Quest’anno non sono stato in Kosovo a Capodanno, l’ho festeggiato in Svizzera. Mio padre ha comprato dei petardi e tre videocassette appositamente per questa festa. I nastri erano in albanese con tanti canti e balli. Il 31 dicembre sono venuti a casa nostra il nostro prozio e molti parenti. Abbiamo guardato i video insieme prima di cena, a base di formaggio, pasta e carne. A mezzanotte siamo usciti tutti fuori, abbiamo fatto esplodere i petardi e ci siamo augurarci un felice anno nuovo. (M. Elshani,19 anni)
  • Il capodanno è molto importante in Giappone, è una festa di famiglia. In questa occasione, abbiamo tre giorni liberi. L’ultimo giorno dell’anno puliamo tutte le stanze, solo quando tutto è veramente pulito siamo aperti e pronti per l’energia vitale del nuovo anno. Il 31 dicembre le donne cucinano principalmente Toshi koshi soba, un tipo di tagliatelle lunghe, così come lo è la vita. A mezzanotte le grandi campane del tempio suonano 108 volte: 8 volte nel vecchio anno e 100 volte nel nuovo anno. Il 1° gennaio riceviamo sempre tante cartoline di auguri. Il 2 e il 3 gennaio abbiamo tempo anche per le visite. Il capodanno in Giappone è molto bello. (S. Nakano, 36 anni)
(Immagine Web)
  • Cuba puliamo accuratamente l’appartamento il 31 dicembre, dopo di che prepariamo il cibo: riso e fagioli con maiale fritto, radici di yucca e insalata di pomodori. Mangiamo abbastanza tardi, intorno alle 23:00. È tardi, ma non vogliamo iniziare il nuovo anno affamati. A mezzanotte, cioè esattamente 00:01, molte persone versano un secchio d’acqua per strada, dicono che porti fortuna, così tutto il male dell’anno vecchio viene lavato via.  (D. Castro, 45 anni)

Spero che il post vi sia piaciuto. Se volete, fateci sapere nei come festeggiate, normalmente, l’arrivo del nuovo anno nei vostri Paesi.

Vi auguro un bellissimo e sereno 2023, con tanta salute, prima di tutto! Che possiate realizzare tutti i vostri progetti!

Claudia V. Lopes

La leggenda delle palline di Natale

Ciao a tutti!

Siccome siamo alle porte delle feste natalizie, ho deciso di portare alla luce alcune leggende legate a questo periodo così magico e carico di sentimenti.

Quindi, oggi vi propongo “La leggenda delle palline di Natale”. Perché addobbiamo i nostri alberi con delle palline colorate? Conoscete altre leggende su questo tema?

A Betlemme c’era un artista di strada molto povero che non aveva nemmeno un dono per il Bambino Gesù. “Tutti portano qualcosa al piccolo Gesù ed io invece non ho proprio niente!.. Forse sarebbe meglio non andarci” pensava e questo pensiero lo faceva sentire molto triste. “Cos’hai?” gli chiese un giorno un pastore vedendolo così triste. Allora il povero artista gli confidò il suo problema… “Ti sbagli amico mio” disse il pastore “non è vero che non hai niente, tu hai il tuo talento … Va’ da Gesù, mostragli i tuoi giochi e vedrai che lo renderai felice.” Rincuorato dalle parole del pastore, l’artista si fece coraggio e andò da Gesù e fece ciò che sapeva fare meglio, il giocoliere, e lo fece ridere. Questo sarebbe il motivo per cui, ogni anno, sull’albero di Natale appendiamo delle palline colorate, per ricordarci delle risate di Gesù Bambino.

Arrivederci e buon Natale!

Claudia Lopes

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Magari o forse?

Ciao a tutti!

Pochi giorni fa, su un forum di lingua italiana, ho letto una domanda di uno studente che chiedeva chiarimenti sugli usi di magari e forse, e mi sono subito ricordata che anch’io, all’inizio dei miei studi d’italiano, avevo tanti dubbi nel momento di usarli. Mi capitava spesso di usare l’uno al posto dell’altro, anche se, a volte, potevo usare sia l’uno sia l’altro. Pertanto ho fatto una piccola ricerca su due dizionari italiani, nient’altro, solo per cercare di capirli meglio, cosicché io sia in grado di aiutarvi. Quindi fate attenzione agli esempi:

Magari [dal gr. makárie, vocativo di makários ‘felice, beato’]

a) Esclamazione – viene usata da sola nelle risposte o anteposta per rinforzare una frase ottativa (che esprime un augurio) con il verbo al congiuntivo; esprime auspicio, desiderio o rimpianto per qualcuno o qualcosa:

– Allora, andiamo domani al cinema?
Magari! (Magari potessi venire!), ma devo studiare per l’esame di storia che si terrà lunedì mattina.

– Ti piacerebbe venire in Brasile con me il mese prossimo?
Magari!/Magari potessi venire con te!

 – Quindi lui ti manca così tanto?
– Tantissimo. Magari lo potessi rivedere.

– Magari fossi ricca!,; Magari potessi prendermi un anno di vacanza!

b) Avverbio

Piuttosto, perfino, addirittura; introduce una frase che ha preferenza rispetto a un’altra frase, introdotta generalmente da “ma” (coordinata avversativa):

– Che cosa farai dei libri del tuo ex?
Magari li butterò nella spazzatura, ma non glieli restituirò!

– Adesso come farai a vivere?
Magari vado a chiedere l’elemosina, ma a lei i soldi non li chiederò.

Anche se, con valore concessivo:

– Ci compreremo una casa nuova, magari (anche se) a rate.

Forse, probabilmente, con valore frasale:

– Perché Claudio non ti ha rivolto la parola alla festa?
– Che ne so! Magari (forse) si è offeso.

– Quando ci sentiamo?
Magari (forse) ti chiamo domani mattina.

Oss.: Avete notato che ho messo tra parentesi “forse”, perché, in realtà, se io dico “magari ti chiamo”, le possibilità che io lo faccia sono ridotte rispetto a “forse ti chiamo”. Lo stesso vale per “forse si è offeso” e “magari si è offeso”.

Eventualmente, semmai: 

– Veniamo da te il prossimo fine settimana, va bene?
Magari chiamatemi prima di venire.

Forse [dal lat. rsit, comp. di rs ‘sorte’ e t ‘sia’]

a) Probabilmente, chissà, può darsi (esprime incertezza), si contrappone a certamente, sicuramente:

– Scusami se non ti ho dato retta ieri sera, forse (magari) avevi ragione.

Il suo significato si proietta sull’intera frase, anche quando è posposto a essa:

– Sai dov’è Carlo?
– Lui è a Parigi, forse.

b) Indica eventualità:

– Partirai sabato prossimo?
Forse.

c) Seguito da un numerale equivale a circa, pressappoco:

– Quante persone hai invitato al tuo compleanno?
Forse ne ho invitate 40; ho invitato 40 persone.

– Quanti libri hai comprato ieri?
Forse una decina.

Adesso facciamo il punto della situazione. Prima di tutto, ci tengo a dirvi che, a mio vedere – e considerando che ormai sono quasi venticinque anni che mi dedico agli studi d’italiano -, impariamo a usare forse e magari, soprattutto, vivendo in Italia, leggendo molto e parlando con gli italiani e in italiano. Sono vocaboli “emotivi” e “intuitivi”, poiché siamo noi, come abbiamo visto dagli esempi, che stabiliamo e sappiamo se saremmo in grado di fare una determina cosa, quali probabilità abbiamo, se siamo, appunto, nella sfera del forse o del magari.

Arrivederci e buono studio!

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Bibliografia di base:

  1. Cetroni M.R. et aliiGrammaticando. Cercola (Napoli), Loffredo Editore, 1997.
  2. SABATINI, Francesco, La comunicazione e gli usi della lingua. Bologna, Loescher editore, 1995.
  3. DARDANO, Maurizio e TRIFONE, Pietro. Parole e Frasi. Bologna, Zanichelli Editore Spa, 1985.
  4. SERIANI, Luca. Grammatica italiana. Torino, Utet Editore, 1991.
  5. Dizionario Garzanti, De Mauro e Lo Zingarelli della lingua italiana.

L’origine della pasta

Vi siete mai chiesti chi sia stato l’inventore della pasta? Chi avrà avuto questa magnifica idea? Andiamo a curiosare un po’! Comunque sia, la pasta è stata, senz’ombra di dubbio, una delle creazioni più geniali di tutti i tempi.


Anche se la pasta è un orgoglio gastronomico italiano, nonché uno dei simboli di italianità più conosciuti al mondo, dobbiamo dire che non sono stati gli italiani gli unici a partecipare alla sua invenzione. Eh, sì! Le sue origini, infatti, sono molto più antiche di quanto non crediamo e vanno dalle valli cinesi dell’Estremo Oriente alle aree mediterranee della Penisola Italica.

La storia ci racconta che la pasta era già ampiamente conosciuta e adoperata ai tempi della Magna Grecia (Sud Italia) e dell’Etruria (regione storico-geografica dell’Italia Centro-Occidentale), anche se veniva chiamata in altri modi. Nella regione dell’Etruria, per esempio, la pasta veniva chiamata láganon (dal greco), oppure makária o makarṓnia – etimo di radice mediterranea, etrusca e magnogreca -, col significato di “cibo beato”, offerto in cerimonie funebre. Questi ultimi, una volta entrati a far parte del vocabolario latino, cominciarono ad essere usati dalla gente sotto forma verbale in alcune zone dell’Italia meridionale [a]’maccari (probabilmente benedire, essere felice), che a sua volta ha dato origine ai termini dialettali maccaruni/maccaroni e, infine, a “maccheroni”.

Per quanto riguarda, invece, il termine latino lagănum – che era usato per indicare un impasto di acqua e farina tirato e tagliato a strisce, da quanto ho potuto capire, sembra che avesse in comune con le lasagne attuali soltanto la forma. Difatti, si trattava di una sorta di frittella o focaccia, molto probabilmente di origine greca.

Il contributo cinese

Conoscete i noodles? Sicuramente li avete già mangiati. Questi sottili spaghetti (fatti con farina di mais) sono una parte fondamentale della tradizione alimentare e gastronomica in tantissimi paesi asiatici (Cina, Corea, Giappone ecc.). Quindi, andando indietro nel tempo, scopriamo che le prime testimonianze riguardo a qualcosa che si somigli, per esempio, ai nostri spaghetti, risalgono a circa 4000 anni fa, in una zona del Nord-Ovest della Cina. Tuttavia, in altre parti del Paese, gli spaghetti erano fatti con la farina di frumento oppure di leguminose, come quella di soia. In realtà i cinesi non usavano la farina di semola o di grano duro che è, invece, l’ingrediente base della pasta italiana.

La pasta in Italia: un’eredità araba

Le prime testimonianze scritte dell’esistenza della pasta nella Penisola Italiana risale alla fine del 1100, dove arrivò grazie alla dominazione araba in Sicilia. Allora, dov’è il contributo italiano in tutta questa faccenda? La risposta è che l’Italia è stata la prima a preparare la lagana (lagănum) con la farina di frumento dai romani. Questo tipo di pasta, fatta con farina e acqua, ha un particolare formato, come abbiamo visto anteriormente, che si somiglia alle lasagne che troviamo nei supermercati.

Per quanto riguarda, invece, l’origine della pasta secca, anche in questo caso non è l’Italia a ottenere da sola il primato! Le sue origini sono arabo-italiane, con la Sicilia come protagonista: il geografo arabo Ruggero II di Sicilia descrisse, nel 1154, la località di Trabia, un villaggio vicino a Palermo, narrando su un tipo di pasta filiforme (un cibo fatto di farina in forma di fili) chiamata triyah, esportata in tutta l’area del Mediterraneo. Gli arabi furono anche gli inventori della tecnica di essicazione della pasta, che permetteva di conservarla durante i loro peregrinaggi nel deserto, nonché dei maccheroni, cilindretti di pasta forata al centro.

Marco Polo (Venezia, 15 settembre 1254 – Venezia, 8 gennaio 1324) è stato un viaggiatore, scrittore, ambasciatore e mercante italiano, cittadino della Repubblica di Venezia.

Comunque sia, la tradizione vuole che sia stato Marco Polo, nel 1295, a portare la pasta all’Occidente, dopo averla mangiata in Cina. Ovviamente, non possiamo saperlo al 100%! Il fatto è che già agli inizi del 14° secolo si hanno testimonianze di pastifici a Genova. Dunque, da questo punto, possiamo dire che sia i cinesi sia gli italiani sono stati i grandi inventori della pasta, anche se in due modalità diverse, che si sono sviluppate in parallelo e in modo indipendente nella notte dei tempi.

Arrivederci e buon appetito!

Claudia Lopes

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Enciclopedie online consultate:

Wikipedia, Treccani, Sapere.it