Essere un fiore all’occhiello

Ciao a tutti!

Conoscete l’espressione “fiore all’occhielo”? L’avete mai sentita o letta da qualche parte?

Con l’espressione “all’occhiello” s’intende, in genere, quello praticato sul risvolto (conosciuto anche come bottoniera) sinistro della giacca, adornato con un fiore per dare un tocco di eleganza al vestito, in occasione del matrimonio. Ecco da dove deriva il significato capace di evocare vanto e prestigio nelle più svariate situazioni!

Ecco alcuni esempi:

  1. La Rocca di Cesena è un fiore all occhiello della città di Cesena. Situata in pieno centro (è stato un carcere in passato), è possibile visitarla, passeggiare e osservare la città dalle mura con un paesaggio mozzafiato, nonché pranzare al suo interno.
Rocca Malatestiana (Cesena)

2. La Gioconda, di Leonardo da Vinci, è il fiore all’occhiello del Louvre.

Gioconda, Olio su tavola di pioppo (Leonardo da Vinci)

Alcune espressioni: avere un distintivo, un nastrino, una decorazione all’occhiello; mettere, infilarsi, portare un fiore all’occhiello.

Occhiello è il diminutivo di “occhio” che significa foro, spesso orlato o rinforzato con anello metallico, che viene praticato in tessuti, cuoi, cartoni, allo scopo di potervi passare legature, ganci di fibbie, lacci, ecc.

Avete un’espressione simile nella vostra lingua madre?

Buono studio!

Claudia V. Lopes

Buona Festa della Mamma!

Care mamme di questa pagina,

Affresco della Lingua Italiana vi augura una bellissima Festa della Mamma!

Per festeggiare questo giorno così speciale, vi propongo delle poesie scritte da alcuni dei più grandi poeti italiani:

Le madri non cercano il paradiso
(Alda Merini)

Le madri non cercano il paradiso,
il paradiso io l’ho conosciuto
il giorno che ti ho concepito.
Perché vuoi morire?
Non ti ricordi la tua tenera infanzia
e quanto hai giocato con me?
Perché vuoi inebriarti della tua anima?
Tu stai uccidendo tua madre
eppure non riesco a dimenticare
i gemiti del parto.
Anch’io quel giorno sono morta
quando ti ho dato alla luce,
tu sei peggio
di qualsiasi amante figlio mio
tu mi abbandoni.

Lettera a mia madre
(Salvatore Quasimodo)

Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.» – Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto.

A mia madre
(Edmondo de Amicis)

Non sempre il tempo la beltà cancella
o la sfioran le lacrime e gli affanni
mia madre ha sessant’anni e più la guardo
e più mi sembra bella.
Non ha un accento, un guardo, un riso
che non mi tocchi dolcemente il cuore.
Ah se fossi pittore, farei tutta la vita
il suo ritratto.
Vorrei ritrarla quando inchina il viso
perch’io le baci la sua treccia bianca
e quando inferma e stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso.
Ah se fosse un mio prego in cielo accolto
non chiederei al gran pittore d’Urbino
il pennello divino per coronar di gloria
il suo bel volto.
Vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei
Vorrei veder me vecchio e lei…
dal sacrificio mio ringiovanita!

La madre
Giuseppe Ungaretti

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Suplica a mia madre
(Pier Paolo Pasolini)

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

Arrivederci e buona lettura!

Claudia V. Lopes

Poesia in lingua italiana: “Nulla due volte”, di Wislawa Szymborska

Ciao a tutti!

La poesia, come sappiamo, ha le sue proprie regole e i suoi ricchissimi mezzi espressivi, che possono essere impiegati per dare forma alle nostre emozioni e stati d’animo, ma anche per esprimere i nostri pensieri e riflessioni sulla vita. La poetessa polacca Wislawa Szymborska ha messo in pratica tutti questi fattori nello scrivere la bellissima poesia, tradotta in lingua italiana, chiamata Nulla due volte:

“Nulla due volte”

Nulla due volte accade
Né accadrà. Per tal ragione
Nasciamo senza esperienza,
moriamo senza assuefazione.

Anche agli alunni più ottusi
Della scuola del pianeta
Di ripeter non è dato
Le stagioni del passato.

Non c’è giorno che ritorni,
non due notti uguali uguali,
né due baci somiglianti,
né due sguardi tali e quali.

Ieri, quando il tuo nome
Qualcuno ha pronunciato,
mi è parso che una rosa
sbocciasse sul selciato.

Oggi che stiamo insieme,
ho rivolto gli occhi altrove.
Una rosa? Ma cos’è?
Forse pietra, o forse fiore?

Perché tu, ora malvagia,
dài paura e incertezza?
Ci sei – perciò devi passare.
Passerai – e in ciò sta la bellezza.

Cercheremo un’armonia,
sorridenti, fra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d’acqua.

Glossario:

1) senza assuefazione = senza essere abituati alla vita.
2) selciato = pavimentazione di una strada o di una piazza.
3) malvagia ora= tempo malvagio.

(Poesia tratta da Wislawa SzymborskaOpere, Milano Adelphi, 2008)

Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012) è stata una poetessa e saggista polacca.

Premiata con il Nobel nel 1996 e con numerosi altri riconoscimenti è generalmente considerata la più importante poetessa polacca degli ultimi anni, nonché una delle poetesse più amate dal pubblico della poesia in tutto il mondo. In Polonia, i suoi volumi raggiungono cifre di vendita (500.000 copie vendute – come un bestseller) che rivaleggiano con quelle dei più notevoli autori di prosa, nonostante Szymborska abbia ironicamente osservato, nella poesia intitolata Ad alcuni piace la poesia (Niektorzy lubią poezje), che la poesia piace a non più di due persone su mille.

Arrivederci e buono studio!

Claudia Valeria Lopes

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L’etimologia del vocabolo “Pasqua”

Cari amici!

Ormai stiamo vivendo una delle più importanti ricorrenze per Ebrei e Cristiani: la Pasqua. Vi siete mai chiesti, però, quale sia l’origine di questo vocabolo e in quale lingua è stato coniato?

Per gli Ebrei la Pasqua (che dura otto giorni, sette in Israele) celebra la liberazione del popolo ebraico dall’Egitto grazie a Mosè e riunisce due riti: l’immolazione dell’agnello e il pane azzimo. Nel contesto ebraico, il vocabolo pesach è inteso come “passare oltre”, “tralasciare”, e deriva dal racconto biblico che si riferisce alla decima piaga, in cui il Signore, vedendo il sangue dell’agnello sulle porte delle case di Israele, passò oltre:

Il Signore passerà per colpire l’Egitto, vedrà il sangue sull’architrave e sugli stipiti: allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire.”

Ma anche l’attraversamento/il passaggio degli Ebrei attraverso il mar Rosso:

(Crediti immagine – Wikipedia)

Il termine Pasqua deriva dal latino Pascha, che a sua volta deriva dall’ebraico Pessach/Pesach (aram. Pasa’), e significa “passare oltre”, ma anche liberazione, attraversamento. Páscoa in portoghese, Osterfest in tedesco, Pâques in francesePascua in spagnolo, Easter inglese, ecc.

La Pasqua Cristiana presenta importanti legami con quella Ebraica ma anche alcune significative differenze. Per i Cristiani la Pasqua indica la festa annuale della Risurrezione di Gesù Cristo, avvenuta secondo le confessioni cristiane, nel terzo giorno dalla sua morte in croce, come fu narrato nei Vangeli di MatteoMarcoLuca e Giovanni.

(Risurrezione – Raffaello)

Questa festa viene celebrata (in seguito al concilio di Nicea, tenutosi nel 325) sempre alla domenica successiva al plenilunio, che segue l’equinozio di primavera nell’Emisfero Norte e d’autunno nell’Emisfero Sud.

“Dal punto di vista teologico, la Pasqua odierna racchiude in sé tutto il mistero cristiano: con la passione, Cristo si è immolato per l’uomo, liberandolo dal peccato originale e riscattando la sua natura ormai corrotta, permettendogli quindi di passare dai vizi alla virtù; con la risurrezione ha vinto sul mondo e sulla morte, mostrando all’uomo il proprio destino, cioè la risurrezione nel giorno finale, ma anche il risveglio alla vera vita.”(wikipedia)

La Pasqua Ebraica, quest’anno, è iniziata il 15 aprile (cioè, ieri) e quella Cristiana sarà celebrata il 17, secondo i loro rispettivi calendari.

Auguro una Buona Pasqua/Chag Pesach Sameach a tutti gli amici cristiani e ebrei di Affresco della Lingua Italiana!

Claudia Valeria Lopes

Alcune poesie e filastrocche di Pasqua in lingua italiana

Ciao a tutti!

Stiamo vivendo l’evento più importante per i cristiani perché si commemora la resurrezione di Cristo, cioè la Pasqua, oltre a costituire la massima solennità dell’anno liturgico. Nella letteratura mondiale ci sono tantissime poesie e filastrocche dedicate a questo momento così speciale. Eccone alcune!

Primavera, Erba, Uova, Pasqua, A Righe, Strisce

Da dove viene?
(Giusi Quarenghi)

Da dove viene l’uovo di cioccolato
se nessuno l’ha mai covato?

Da dove viene l’uovo dipinto
che quando lo mangi è vero e non è finto?

Da dove viene l’uovo con la sorpresa
se le galline non fanno la spesa?

Il pulcino marziano
(Gianni Rodari)

Ho visto, a Pasqua, sbarcare
dall’uovo di cioccolato
un pulcino marziano.
Di certo il comandante
di quell’uovo volante
di zucchero e cacao
con la zampa ha fatto ciao.
E il gatto, per la sorpresa,
non ha detto neanche: “Miao”.

Resurrezione 
(Giovanni Pascoli)

Che hanno le campane
che squillano vicine,
che ronzano lontane?
È un inno senza fine
or d’oro, ora d’argento
nell’ombre mattutine…

Buona Pasqua
(Alberto Camus)

Non camminare davanti a me
potrei non seguirti;

non camminare dietro di me,
potrei non sapere dove andare.

Cammina a fianco a me
e sii per me un amico!


Vento di Pace
(di Maria Ruggi – Maestra Mary)

Vola nell’azzurra Primavera
una colomba bianca e sincera.
Reca nel becco un verde rametto
piccole foglie d’ulivo benedetto.
Danza nell’aria con le campane
fra trilli, canti e guizzi di fontane.
Annuncia festosa a ogni bambino:
“Porto la pace sul tuo cammino”.
D’incanto il cielo appare più bello
anche il nemico diventa un fratello.
Il vento raccoglie i semi d’amore
poi li sparpaglia in mezzo al prato
ecco che nasce un nuovo fiore
profuma di pace tutto il creato.

Ho sentito il battito del tuo cuore!
(Madre Teresa di Calcutta)

Ti ho trovato in tanti posti, Signore.
Ho sentito il battito del tuo cuore
nella quiete perfetta dei campi,
nel tabernacolo oscuro di una cattedrale vuota,
nell’unità di cuore e di mente di un’assemblea
di persone che ti amano.
Ti ho trovato nella gioia,
dove ti cerco e spesso ti trovo.
Ma sempre ti trovo nella sofferenza.
La sofferenza è come il rintocco della campana
che chiama la sposa di Dio alla preghiera.
Signore, ti ho trovato nella terribile
grandezza della sofferenza degli altri.
Ti ho visto nella sublime accettazione
e nell’inspiegabile gioia di coloro
la cui vita è tormentata dal dolore.
Ma non sono riuscito a trovarti
nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri.
Nella mia fatica ho lasciato passare inutilmente
il dramma della tua passione redentrice,
e la vitalità gioiosa della tua Pasqua è soffocata
dal grigiore della mia autocommiserazione.

Signore, io credo. Ma aiuta la mia fede.

Claudia V. Lopes

Buona Pasqua a tutti!

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Buon pesce d’aprile a tutti!

Ciao a tutti!

Oggi in Italia, ma anche in tante altre nazioni, è il giorno in cui si fanno degli scherzi e si danno notizie false, cioè in cui si prendono in giro le persone con delle storie, a volte, all’insegna dell’incredibile. Magari ci dimentichiamo di quale giorno si tratti, il fatto è che tutti noi ci siamo cascati almeno una volta nella vita! Sì, stiamo parlando del famoso Pesce d’aprile, le cui origini non sono affatto note. Infatti, sono state proposte diverse storie, di cui una – la più accreditata – collocherebbe la nascita di questa famosa tradizione nella Francia del secolo XVI.

Prima che il calendario Gregoriano fosse adottato come quello ufficiale, nel 1528, si festeggiava il capodanno in Europa tra il 25 marzo e il 1o aprile, occasione in cui la gente si scambiava pacchi dono. Con la riforma di papa Gregorio XII, la data della festività fu spostata al primo gennaio. Da questo piccolo spostamento, sembra che sia nata la tradizione di dare dei pacchi regalo completamente vuoti e strani  in corrispondenza, appunto, del 1aprile. Al di là delle varie spiegazioni riguardo alle origini di questo giorno scherzoso, sembra che quest’usanza, diffusa non solo in Europa ma anche in America, si ricolleghi agli antichi riti propiziatori del mondo contadino e agricolo, influenzati dal cambio delle stagioni.

Impariamo alcune espressioni e modi di dire con il vocabolo pesce!

  1. come un pesce fuor d’acqua – In discoteca mi sento un pesce fuor d’acqua.
  2. espressivo come un pesce – Anna ha lo sguardo espressivo come un pesce, cioè spento.
  3. fare il pesce in barile – Carlo fa finta di non vedere e non sentire nulla, in poche parole, fa il pesce in barile.
  4. pesce grosso – Lui è una persona influente? Certo, è un pesce grosso, ha molta autorità!
  5. pesce piccolo – Che cosa significa esattamente l’espressione “pesce piccolo”? Nel linguaggio della malavita, indica il piccolo delinquente che opera per conto di altri…
  6. Trattare a pesci in faccia – Carlo ti ha trattato male? Malissimo, anzi, a pesci in faccia!

Arrivederci e buon pesce d’aprile!

Claudia Valeria Lopes

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Il sistema verbale della lingua italiana: il modo

Cari amici e care amiche,

Oggi studieremo un po’ della struttura del  verbo che, come saprete, ha un organico e complesso sistema di forme usate per esprimere il modo, il tempo, la persona, il numero, l’aspetto (puntuale, durativo, iterativo, ecc.), la diatesi (attiva o passiva), conosciute come “coniugazione”.

Il modo

Il modo è la categoria della coniugazione verbale che indica la maniera in cui la l’azione o lo stato espressi dal verbo vengono presentati. La lingua italiana dispone di sette modi verbali:

a) Quattro modi finiti:

1 – Indicativo, che presenta l’azione o situazione descritta dal verbo come certa: io amo cantare; ieri ho mangiato una bella spaghettata.

2 – Congiuntivo, che presenta l’azione o situazione descritta dal verbo come incerta –  che io ami; che io cantassi;

3 – Condizionale, che presenta l’azione o situazione descritta dal verbo come un desiderio – io amereiloro canterebbero;

4 – Imperativo,  che presenta l’azione o situazione descritta dal verbo come un ordine, un comando – ama finché puoi; vai via!

b) Tre modi indefiniti:

a) Infinito presente e passato: l’infinito è un modo verbale usato in quasi tutte le lingue indoeuropee. Normalmente, è la forma scelta per il lemma dei verbi che troviamo nei dizionari. In genere, non fa riferimento ad alcuna persona grammaticale (io, tu, lui, lei, ecc.): avere, avere avuto.

b) Participio presente e passato – modo verbale molto vicino all’aggettivo e al sostantivo. Deve il suo nome al fatto che partecipa (in latino partem capit, cioè prende parte) a queste categorie: amado; amante.

c) Gerundio (o forma nominale del verbo) – modo verbale utilizzato per indicare un processo considerato nei confronti di un secondo avvenimento: preferisco non parlare mangiando nello stesso momento.

Arrivederci e buono studio!

Claudia Valeria Lopes

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Bibliografia di base per l’elaborazione dei post:

  1. Cetroni M.R. et aliiGrammaticando. Cercola (Napoli), Loffredo Editore, 1997.
  2. SABATINI, Francesco, La comunicazione e gli usi della lingua. Bologna, Loescher editore, 1995.
  3. DARDANO, Maurizio e TRIFONE, Pietro. Parole e Frasi. Bologna, Zanichelli Editore Spa, 1985.
  4. SERIANI, Luca. Grammatica italiana. Torino, Utet Editore, 1991.
  5. Dizionario Garzanti, De Mauro e Lo Zingarelli della lingua italiana online,

Lo studio dei verbi italiani per studenti stranieri

Potete trovare molti altri aspetti dei verbi italiani su LO STUDIO DEI VERBI ITALIANI PER STUDENTI STRANIERI!

Lo studio dei verbi italiani per studenti stranieri è stato ideato per tutti coloro che vogliono approfondire, appunto, la coniugazione e l’utilizzo dei verbi italiani. Oltre tutta la parte teorica e tantissimi esercizi, troverai anche tante belle immagini del Bel Paese!

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Alcuni modi di dire ed espressioni con il vocabolo “mano”

Ciao, ragazzi!

Il vocabolo mano (lat. nu) è usato nella lingua italiana per formare tantissimi modi di dire ed espressioni molto popolari. Vi piacerebbe conoscerne alcuni/e?

Adesso cerchiamo di capire quali sono i possibili significati che potete trovare facilmente sui vostri dizionari:

1) estremità dell’arto superiore formata dal polso, dalla palma, dal dorso e dalle cinque dita; ha funzione di organo prensile e tattile – mano destra, mano sinistra, ecc.

2) stile, impronta caratteristica di una persona – in questo arredamento si vede la mano di un architetto. 

3) strato di colore, di vernice o di altra sostanza che si stende su una superficie – secondo me, dovresti dare un seconda mano di banco alle pareti.

4) nei giochi di carte, giro di distribuzione e di gioco; anche, la situazione di chi gioca per primo – una partita giocata a tre mani la mano tocca a me, sono di mano, cioè tocca a me giocare per primo.

5) ognuno dei lati corrispondenti alle due mani; anche, ognuna delle due direzioni in cui si muove il traffico di veicoli e di persone in una strada – cerca di tenere la mano destra, fra poco dovremo girare.

Ragazzi, usare un buon dizionario è molto importante per avere informazioni sul significato di un vocabolo, la sua corretta ortografia, la pronuncia, le caratteristiche grammaticali e, soprattutto, per arricchire il proprio lessico!

Espressioni e modi di dire

A) a piene mani

In grande quantità, come riempiendosi completamente le mani di qualcosa – la signora Rossi ha donato soldi a piena mani all’orfanotrofio del suo paese.

B) a portata di mano

Facilmente raggiungibile, tanto vicino che sarebbe sufficiente allungare una mano per arrivarci. Vale per cose, persone e situazioni – le medicine dei bambini devono essere sempre a portata di mano; Francesco è una persona molto a portata di mano.

c) avere le mani bucate

Spendere molto, scialacquare denaro generalmente in spese inutili o esagerate, come se si avessero le mani piene di buchi che pertanto non riescono a trattenere il denaro – Roberto ha le mani bucate, spende parecchi soldi con cose inutili.

d) si possono dare la mano

Si dice di persone molto simili – Claudio e Anna si possono dare la mano, sono uguali! 

f) giù le mani!, le mani a casa!, le mani a posto!

Intimazione rivolta a chi alza le mani per picchiare, a chi tocca o prende qualcosa che non deve o a chi palpa con intento erotico.

g) sfuggire di mano

Detto di situazione di cui si perde il controllo – la situazione mi è completamente sfuggita di mano, non so più cosa devo fare.

h) di prima mano

Nuovo, mai usato prima né da altri. Di una notizia, recentissima, inedita, che proviene direttamente dalla fonte – Ho saputo la notizia di prima mano.

i) calcare la mano

Esagerare in rigore e severità, soprattutto se riferito a una punizione, un’accusa e simili – sul rapporto l’arbitro ha calcato la mano!

Ne conoscete altri/e?

Arrivederci e buono studio!

Claudia Valeria Lopes

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L’antilingua di Italo Calvino

Ciao, ragazzi!

Vorrei condividere con voi questo bellissimo articolo di Italo Calvino (uno dei miei scrittori italiani preferiti), pubblicato nel 1965 sul quotidiano “Il Giorno”, in cui parla dell’antilingua, cioè di un italiano surreale che avrebbe contagiato la lingua italiana quotidiana, la cui sostanza è semplice e chiara. Nonostante siano passati più di 20 anni, le parole che leggiamo sono molto attuali e ci fanno riflettere sulla sorte non solo della lingua italiana, ma di tante altre lingue che si confrontano ogni giorno con i forestierismi e con la tendenza che molti settori e “intellettuali” hanno di complicare una lingua semplice.

italo-calvino
Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985) è stato uno dei più grandi scrittori, narratori e intellettuali del Novecento.
Riporto qui di seguito il testo integrale, spero che serva a farvi riflettere su come state impostando i vostri studi di italiano:

Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: “Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata”.

Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante».

Ogni giorno, soprattutto da cent’anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente con la velocità di macchine elettroniche la lingua italiana in un’antilingua inesistente. Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono parlano pensano nell’antilingua.

Caratteristica principale dell’antilingua è quella che definirei il «terrore semantico», cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato, come se «fiasco» «stufa» «carbone» fossero parole oscene, come se «andare» «trovare» «sapere» indicassero azioni turpi. Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente. Abbiamo una linea esilissima, composta da nomi legati da preposizioni, da una copula o da pochi verbi svuotati della loro forza, come ben dice Pietro Citati che di questo fenomeno ha dato un’efficace descrizione.

Chi parla l’antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di dover sottintendere: «io parlo di queste cose per caso, ma la mia «funzione» è ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia «funzione» è più in alto di tutto, anche di me stesso ».

La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi. La lingua invece vive solo d’un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire ho «fatto», ma deve dire «ho effettuato» – la lingua viene uccisa.

Se il linguaggio «tecnologico» di cui ha scritto Pasolini (cioè pienamente comunicativo, strumentale, omologatore degli usi diversi) si innesta sulla lingua, non potrà che arricchirla, eliminarne irrazionalità e pesantezze, darle nuove possibilità (dapprincipio solo comunicative, ma che creeranno, come è sempre successo, una propria area di espressività); se si innesta sull’antilingua, ne subirà immediatamente il contagio mortale, e anche i termini «tecnologici» si tingeranno del colore del nulla.

L’italiano finalmente è nato, – ha detto in sostanza Pasolini, – ma io non lo amo perché è «tecnologico».

L’italiano da un pezzo sta morendo, – dico io, – e sopraviverà soltanto se riuscirà a diventare una lingua strumentalmente moderna; ma non è affatto detto che, al punto in cui è, riesca ancora a farcela.

Il problema non si pone in modo diverso per il linguaggio della cultura e per quello del lavoro pratico. Nella cultura, se lingua «tecnologica» è quella che aderisce a un sistema rigoroso, – di una disciplina scientifica o d’una scuola di ricerca – se cioè è conquista di nuove categorie lessicali, ordine più preciso in quelle già esistenti, strutturazione ne più funzionale del pensiero attraverso la frase, ben venga, e ci liberi di tanta nostra fraseologia generica. Ma se è una nuova provvista di sostantivi astratti da gettare in pasto all’antilingua, il fenomeno non è positivo né nuovo, e la strumentalità tecnologica vi entra solo per finta.

Ma il giusto approccio al problema mi pare debba avvenire al livello dell’uso parlato, della vita pratica quotidiana. Quando porto l’auto in un’officina per un guasto, e cerco di spiegare al meccanico che «quel coso che porta al coso mi pare che faccia uno scherzo sul coso», il meccanico che fino a quel momento ha parlato in dialetto guarda dentro il cofano e spiega con un lessico estremamente preciso e costruendo frasi d’una funzionale economia sintattica, tutto quello che sta succedendo al mio motore.

In tutta Italia ogni pezzo della macchina ha un nome e un nome solo, (fatto nuovo rispetto alla molteplicità regionale dei linguaggi agricoli; meno nuovo rispetto a vari lessici artigiani), ogni operazione ha il suo verbo, ogni valutazione il suo aggettivo. Se questa è la lingua tecnologica, allora io credo, io ho fiducia nella lingua tecnologica.

Mi si può obiettare che il linguaggio – diciamo così. – tecnico-meccanico è solo una terminologia; lessico, non lingua. Rispondo: più la lingua si modella sulle attività pratiche, più diventa omogenea sotto tutti gli aspetti, non solo, ma pure acquista «stile».

Finché l’italiano è rimasto una lingua letteraria, non professionale, nei dialetti (quelli toscani compresi, s’intende) esisteva una ricchezza lessicale, una capacità di nominare e descrivere i campi e le case, gli attrezzi e le operazioni dell’agricoltura e dei mestieri che la lingua non possedeva.

La ragione della prolungata vitalità dei dialetti in Italia è stata questa. Ora questa fase è superata da un pezzo: il mondo che abbiamo davanti, – case e strade e macchinari e aziende e studi, e anche molta dell’agricoltura moderna, – è venuto su con nomi non dialettali, nomi dell’italiano, o costruiti su modelli dell’italiano, oppure d’una interlingua scientifico-tecnico-industriale, e vengono adoperati e pensati in strutture logiche italiane o interlinguistiche. Sarà sempre di più questa lingua operativa a decidere le sorti generali della lingua …

Il dato fondamentale è questo: gli sviluppi dell’italiano oggi nascono dai suoi rapporti non con i dialetti ma con le lingue straniere. I discorsi sul rapporto lingua-dialetti, sulla parte che nell’italiano d’oggi hanno Firenze o Roma o Milano, sono ormai di scarsa importanza. L’italiano si definisce in rapporto alle altre lingue con cui ha continuamente bisogno di confrontarsi, che deve tradurre e in cui deve essere tradotto …

La nostra epoca è caratterizzata da questa contraddizione: da una parte abbiamo bisogno che tutto quel che viene detto sia immediatamente traducibile in altre lingue; dall’altra abbiamo la coscienza che ogni lingua è un sistema di pensiero a sé stante, intraducibile per definizione. Il libro ormai famoso di Georges Mounin (di cui è imminente un’edizione italiana adattata dalla stesso autore con esempi italiani) ha detto tutto quel che può essere detto sulla possibilità e l’impossibilità di tradurre, e non credo ci sia per ora nulla da aggiungere, se non sul piano delle previsioni del futuro.

Le mie previsioni sono queste: ogni lingua si concentrerà attorno a due poli: un polo di immediata traducibilità nelle altre lingue con cui sarà indispensabile comunicare, tendente ad avvicinarsi a una sorta di interlingua mondiale ad alto livello; e un polo in cui si distillerà l’essenza più peculiare e segreta della lingua, intraducibile per eccellenza, e di cui saranno investiti istituti diversi come l’argot popolare e la creatività poetica della letteratura.

L’italiano, nella sua anima lungamente soffocata, ha tutto quello che ci vuole per tenere insieme l’uno e l’altro polo: la possibilità d’essere una lingua agile, ricca, liberamente costruttiva, robustamente centrata sui verbi, dotata d’una varia gamma di ritmi della frase.

L’antilingua invece esclude sia la comunicazione traducibile, sia la profondità espressiva.

La situazione sta in questi termini: per l’italiano trasformarsi in una lingua moderna equivale in larga parte a diventare veramente se stesso, a realizzare la propria essenza; se invece la spinta verso l’antilingua non si ferma ma continua a dilagare, l’italiano scomparirà dalla carta linguistica d’Europa come uno strumento inservibile.

Tratti da: La Nuova questione della lingua, a cura di O. Parlangeli, Brescia, Paideia. 1971; precedentemente in “Il Giorno”, 3-2-65.

Fateci sapere nei commenti cose ne pensate 🙂

Arrivederci e buona lettura!

Claudia V. Lopes

Buon San Valentino!

Ciao a tutti!

In quasi tutto il mondo, oggi si festeggia il Giorno degli Innamorati, conosciuto anche come Il giorno di San Valentino. Vi siete mai chiesti, però, qual è origine di questo giorno così speciale?

Historia magistra vitae: i Lupercalia, festa di purificazione nell'antica  Roma | Lanterna
Andrea Camassei, Lupercalia, Museo del Prado, circa 1635

Questa festività prende il nome dal santo e martire cristiano San Valentino da Terni, un comune italiano, capoluogo dell’omonima provincia, in Umbria. Nel 496, papa Gelasio I la sostituì alla precedente festa pagana delle Lupercalia (in italiano “Lupercali”), una festa di purificazione che veniva celebrata a Roma dal 13 al 15 febbraio, in onore di Luperco, antico dio latino.

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(San Valentino di Lucas Cranach, Galleria delle arti figurative di Vienna. Crediti immagine Wikipedia)

San Valentino, secondo la leggenda, sarebbe stato il primo religioso a celebrare l’unione fra un legionario pagano e una giovane cristiana. Inoltre, si dice che, un giorno, vide due giovani fidanzati che litigavano e decise di farsi avanti, offrendo loro una rosa. Pregò loro di riconciliarsi, mentre i giovani insieme stringevano il gambo della rosa, facendo attenzione a non pungersi. Il Santo pregò anche il Signore che proteggesse e mantenesse vivo in eterno il loro amore.

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Dopo qualche tempo, la coppia gli chiese di benedire il loro matrimonio. Quando la storia si diffuse, la gente incominciò ad andare in pellegrinaggio dal vescovo di Terni il 14 di ogni mese, giorno destinato alle benedizioni. Dopo la morte di San Valentino, la data fu ristretta solo al mese di febbraio.

Comunque, come accade a tutte le festività di origini pagana, non è facile accertare, appunto, le origini di questa ricorrenza. Secondo un’altra tesi, forse la più affidabile, San Valentino sarebbe diventato il protettore degli innamorati grazie al circolo di Geoffrey Chaucer (1343 – 1400), uno scrittore, poeta, cantante, burocrate e diplomatico inglese, considerato il padre della letteratura inglese. Nel suo poema onirico Il parlamento degli uccelli, Geoffrey associa la ricorrenza al fidanzamento di Ricardo II d’Inghilterra con Anna di Boemia, per cui è visto come una delle prime prove del giorno di San Valentino come festività dedicata all’amore.

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(Biglietto d’auguri di san Valentino, circa 1910. Crediti immagine Wikipedia)

E quando ebbero inizio i festeggiamenti dedicati al giorno di San Valentino nel mondo? Nei paesi anglosassoni, le prime testimonianze risalgono al XIX secolo, con lo scambio delle famose “Valentine”, cartoline e bigliettini d’amore decorate con dei motivi romantici, esattamente come quelli che troviamo in commercio. Poi, con il passare del tempo, la tradizione di inviare delle cartoline d’amore si stese anche agli altri paesi. Oggi, oltre alle cartoline, gli innamorati si scambiano anche scatole di cioccolatini, fiori, profumi, pupazzi, gioielli, spesso durante una bella cenetta romantica.

Arrivederci e buon San Valentino a tutti!

Claudia Valeria Lopes

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